Perchè bisogna saper lasciare andare

E’ finita la nostra avventura in India. L’abbiamo lasciata alle spalle, ma solo per modo di dire; è ancora troppo violentemente dentro di noi, continua a parlarci, continua a mostrarsi. Forse ora più che mai.

matrimonio bambini

“Dopo che avrete visto e vissuto in India, il resto sarà una passeggiata”, in tanti ci hanno detto questo. E se è vero che dopo Mumbai Bangkok è stata veramente una passeggiata, sotto altri punti di vista, in Thailandia non è così semplice vivere la quotidianità, trovare un modo per apprezzare appieno le sue meraviglie.

Perchè? Perchè l’India sta pervadendo ogni pensiero. Parlo per me, ma credo di poter parlare anche a nome di Ale e dei bimbi, che continuamente estraggono ricordi, sensazioni, immagini, visioni. Continuamente c’è la parola Mysore sulle labbra di Ines, continuamente ci sono paragoni e difficilmente ci si lascia andare al presente.

E così voglio ricordarla, voglio salutarla, perchè altrimenti rischio di non vivere ciò che ora sto vivendo, nella terra del SORRISO. Bisogna imparare a lasciar andare.

NINNI E L'HAMMAM

Mumbai è la percezione di essere davvero arrivati in un altro mondo; lo si capisce subito, al primo istante. Appena metti il muso fuori dall’aeroporto. Caotica, sporca, inquinata, ti violenta la vista, i nervi. Mumbai che ci ha messo veramente con le spalle al muro e ci ha denudati in tutti i sensi; tutti i nostri vestiti sono stati portati per sbaglio in discarica invece che in lavanderia, e con quattro bambini non è stato semplice trovare il modo giusto per affrontare questa karmica avventura. Ma non so come, abbiamo mantenuto il sorriso e anche se più volte ho detto “Voglio mia mammaaa!” (chi mi conosce sa che non è il mio forte chiedere aiuto) siamo riusciti a uscirne indenni! Un po’ di vestiti nuovi e gli zaini più leggeri.

Per chi non lo sapesse, il 28 agosto 2014, all’aeroporto di Malpensa, mentre stavamo correndo disperati per non perdere il nostro primo volo verso Atene (il primo volo del nostro viaggio), mi volto per controllare che ci siano tutti i bambini e mi accorgo che Miranda non ha più il suo zaino sulle spalle. Quello zaino che da mesi giaceva pronto in camera sua, pronto per essere indossato e vissuto, quello zaino in cui c’erano tutte le sue cose preparate con cura e dedizione, scelte tra mille altre per poter essere “un po’ di casa” in viaggio. Niente, lo zaino non c’era. Lei correva libera e leggera come una farfalla. Le ho urlato “Miranda, lo zainooooooO”” e un brivido congelato le si è stampato sulla faccia. Sono stati attimi interminabili. Ale era già corso verso il check in, io ero rimasta indietro con i quattro bambini, altri ritmi. Pochissimi minuti alla chiusura del check in. In un istante si è dovuto decidere il da farsi. Correre indietro per cercare l’autobus da cui eravamo appena scesi e sperare di recuperare lo zaino o andare avanti, pensarci poi, e non perdere l’aereo? Lei inizia a piangere disperata, io oscillo tra un “stai calma” “MIRANDAA!” “dobbiamo correre”. Fortuna che esiste Ines che in situazioni di emergenza è sempre una garanzia di efficienza e saggezza. Martino stava tranquillo nel marsupio e Vinicio guardava sbalordito la situazione, quel dramma femminile che si stava compiendo. Ines le dice “non preoccuparti, ti presto io tutti i vestiti, corriamo!!”, Miranda continua a piangere e si mette pure a urlare. Io mi sento dentro al film Lola Corre, non c’è scelta, dobbiamo andare. Rischiamo veramente di non partire. Le dico che in fondo sono solo vestiti, che troveremo una soluzione, che questa è la prima grande lezione. Ma ora tutti a correre.

Ale ci sta aspettando, sta bloccando gli operatore del check in che non vogliono farci salire perché è troppo tardi.  Riusciamo a partire, riusciamo ad arrivare ad Atene. Il Viaggio è iniziato. La scuola pure.

MUMBAI,LA CAPPA

Mumbai mi ha stregata, la penso spesso, ho immagini nitide e crude. Sarà che la prima volta di ogni esperienza è quella che rimane impressa, ma questa metropoli ha lasciato un segno profondo, una lama che incide e lascia una cicatrice che mai più se ne andrà. Ghandi e la sua Mani Bhavan, la sua casa, il suo letto, i suoi pochi oggetti. Un tuffo al cuore, una vibrazione che ancora mi pulsa nelle vene e che anche i bambini hanno potuto percepire.

edu ghandi room

ninni mahatma

Mumbai ci ha costretti ad affrontare tutto e di tutto, dal mangiare circondati dai topi al guardare in faccia bambini, sorridenti, lavarsi in pozzanghere; dallo scoprire quanto gli indiani siano capaci di complicarti estremamente la vita e, allo stesso tempo, donarsi completamente per poterti aiutare. Non ci sono vie di mezzo, non ci sono scorciatoie. Abbiamo subito capito che ogni piccolo bisogno poteva trasformarsi in una scalata estenuante, che una pioggia poteva diventare un diluvio, un incrocio in un girone dantesco; ma che soddisfazione riuscire a trasformare ogni fatica in qualcosa di prezioso, in qualcosa che iniziava a chiamarsi Esperienza.

pioggia a mumbai

 

Il viaggio verso Sud aveva inizio. Il Goa ci ha colto nuovamente di sorpresa in quell’unica notte trascorsa a dormire per terra, sopra delle stuoie messe a disposizione da un’anziana che ha aperto la sua misera casa per offrirci un giaciglio, quando ormai il buio avvolgeva la foresta e noi eravamo spersi, spauriti e decisamente senza più risorse. Quella notte ho dormito così profondamente più per dimenticare tutto che per stanchezza; ma il risveglio, in mezzo a una giungla rigogliosa, con l’oceano a due passi e il sorriso della gente attorno, ti fa capire che in fondo ce la si fa, sempre.

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E così abbiamo preso un treno, o meglio, abbiamo atteso ore interminabili l’arrivo del treno delle 11 che ci avrebbe offerto altre grandi lezioni sull’India.

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L’India osservata dai finestrini aperti dei treni, i paesaggi che scorrono lenti, le risaie, le palme, fiumi e tramonti che non scorderò mai. I visi delle persone che condividono un pezzo di strada, con lo sguardo perso dentro una natura selvaggia e prepotente.

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treno

I bambini iniziano a non lamentarsi più, ore e ore di viaggio, di attesa, di niente. Inizia a esistere una nuova possibilità, quella di riuscire a sopportare lunghi tragitti, la fame, il caldo, la noia. Perché in fondo anche la noia è qualcosa che si deve imparare. E anche attraverso la noia si comincia a entrare dentro se stessi, nei  propri pensieri; così osservo queste piccole persone che iniziano a ritagliarsi pezzi di silenzio, di solitudine. Forse per poterci capire qualcosa, forse per lasciar(si) andare, semplicemente.

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decisioni da prendere

L’India che immaginavamo, quella che abbiamo letto prima di partire, quella ascoltata dai racconti di chi l’ha già vissuta. Non so, spesso la guardavo ad altezza di bambino, ascoltavo le loro parole per capire cosa fosse davvero impressionante ai loro occhi, ai loro sensi; se un cielo pieno di nuvoloni o una piccola formica rossa vicino ai loro piedi. Spesso non c’era niente di così diverso nei loro atteggiamenti e nel loro giocare. Apparentemente era come essere ovunque.

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Mi faceva riflettere questo, continua a farmi riflettere. E continuo a chiedermi cos’è che perdiamo noi grandi. I bambini sono e si sentono a casa ovunque. I bambini sono impressionati da tutto e da niente. Loro stanno scoprendo la vita, loro stessi, hanno bisogno soltanto di un tempo lento. Un tempo lento che scorra insieme a loro, che li lasci assaporare le esperienze, anche le più insignificanti (ai nostri occhi). E l’India, in quanto a esperienze, non è stata certo avara.

I tramonti vissuti a Gokarna, osservando il mare e la sua potenza, rimangono scolpiti nel cuore. All’improvviso arriva il tramonto, la vista si offusca, i contorni sono labili, la terra si getta nel mare e li, il cielo si rispecchia. Attimi d’Eterno.

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L’India la senti con tutti i sensi. E’ un’esperienza di odori, di miscugli fortissimi, acri, insopportabili, uniti al profumo d’incenso che ti avvolge all’improvviso, che inebria l’aria nei luoghi più impensati; e ancora profumo di frangipani, di fiori colorati, di cibo cucinato per strada e di spezie fortissime.

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I sapori, così forti e piccanti, speziati. Il cardamomo, il cumino, lo zenzero, le foglie di curry, la menta. La consistenza della polpa del cocco fresco, il sapore della sua acqua, ogni volta una scoperta. Ogni volta è come attendere la sorpresa dentro all’uovo di Pasqua. Sarà dolce, frizzante, saprà di miele o di caramello.

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Per non parlare dei suoni, l’India patria dei rumori. Nonostante le persone siano calme, mai una voce alta, mai un moto d’ira, i rumori permeano l’aria e la rendono a volte insopportabile. Clacson, trombette di ogni tipo e dimensione, rumori di motorini, tuktuk, motociclette, i muggiti delle mucche, i cani randagi che di notte ululano, le scimmie e le loro scorribande chiassose.

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E poi le mani, che per la prima volta entrano in contatto con il cibo mangiato senza forchette, senza ausilio, ma esclusivamente con la mano destra  (e non è così facile come potrebbe sembrare). E’ un’arte riuscire a gestire in maniera educata ciò che si ha nel piatto. E ancora il tatto nel togliere i semi della papaya o la colla che ti lascia sulle mani il Jackfruit.

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ines e il bue dalle corna lunghe!

E poi la vista, che non ha bisogno di parole per essere descritta, ma soltanto di immagini, che rimangono dentro a uno scatto, ma ancor più nella memoria. Non mi stancavo mai di guardare gli alberi, così maestosi, potenti; mi davano un senso di protezione, aprivano le porte dell’anima.

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Intanto il viaggio continuava, Bangalore con la sua frenesia e il caos delle sue strade, ci ha comunque strappato un sorriso, perché abbiamo trovato l’India più chitsch, quella sfarzosa, dai colori sgargianti e delle gigantografie.

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e poi Mysore. Ne ho già parlato, non mi stancherei mai di parlarne. E’ stato il primo momento in cui sia Ale che io abbiamo sentito, davvero, di aver intrapreso un Viaggio. Fino ad allora c’era l’entusiasmo della partenza, l’emozione vibrante e adrenalinica. C’erano da metabolizzare i saluti, gli arrivederci, gli affetti lasciati. Fino ad Mysore c’era una sorta pensiero rivolto all’indietro, a ciò che avevamo lasciato. In quella città qualcosa è cambiato, finalmente ci siamo iniziati a sentire dentro al viaggio, parte di esso. Autori e artefici. Ci siamo rasserenati, è scoccato qualcosa.

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l muro che più mi ha impressionata. Niente di particolare, soltanto svastiche. Rosse, arancioni, gialle. Nel retro del tempio più importante della città dedicato a Lord Shiva.

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La svastica, da noi così tristemente associata al nazismo, in India la si trova ovunque, nei templi, davanti alle case, nelle inferriate, sui pavimenti.

E’simbolo benaugurante e protettore; uomini che le si inchinavano davanti a pregare, incauti, pacifici e veneranti.

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Questo racconto non l’ho mai terminato.

Ora l’India è lontana. Profonda e lontana.  Non so quando torneremo.

Ma so che sarà lì pronta ad accoglierci.

 

 

 

 

 

 

11 pensieri su “Perchè bisogna saper lasciare andare

  1. È il viaggio che non esce più. Ma alla fine ogni luogo è anche viaggio. E quindi, appena si può, si può partire di nuovo. Grazie per la condivisione e per le punture di nostalgia che susciti! Un abbraccio grande. Emanuela

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  2. Grazie x avere di nuovo condiviso le immagini, i ricordi le emozioni e le sensazioni del vostro viaggio!! Proprio la settimana scorso ho ritrovato il link del blog e mi sono domandata come stavate!!!

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  3. che bello sentirti nuovamente! ogni tanto mi chiedevo di voi, se foste nuovamente alla scoperta di nuova vita in giro per altri mondi..E penso soprattutto ai vostri figli; saranno cresciuti e chissà quanto del viaggio hanno dentro. Se non invado aspetti troppo personali su di voi mi piacerebbe raccontassi qualcosa su questo. Le foto che fate dei vostri figli sono così comunicative ed espressive che sembra di conoscerli. Proprio bello averti risentito…
    Paola

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  4. Cara Caterina
    continua a scrivere…
    hai lasciato andare , per ora , l’India ma scrivi ancora.
    Scrivi dei tuoi figli, di qualunque cosa, oserei dire perchè leggerti è un piacere per l’anima.

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  5. Ciao Caterina. Io scrivo di India e dintorni. Eppure ogni volta che leggo commenti come il tuo mi emoziono e mi stupisco sempre. Epure conosco bene quel paese. Ti scrvo soprattutto per complimentarmi. Non è da tutti portare in India i propri figli piccoli e perdippiu in un viaggio on the road, viaggiando sui bus come mi pare abbiate fatto voi. Hai donato ai tuoi figli una marcia in più, una esperienza che mai dimenticheranno e che sarà per loro molto istruttiva per la loro vita futura. I miei complimenti anche per le stupende e insolite fotogrsfie.Non mi spendo mai in commenti troppo lunghi ma questa volta ne valeva la pena. Se ti va mi trovi su http://www.passoinindia.com e su facebook https://m.facebook.com/passoinindia

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